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I sogni e i colori di Mirò

“Lo spettacolo del cielo mi sconvolge. Mi sconvolge vedere, in un cielo immenso, la falce della luna o il sole. Nei miei quadri, del resto, vi sono minuscole forme in grandi spazi vuoti.”

(Joan Miró)

Joan Miró nasce a Barcellona poco prima della fine dell’Ottocento, e la sua trasgressione anticonformista riempie di tratti liberi e di colori le sue sensazioni più intime, trasferendole sulle sue tele, in maniera empatica e brillante.

Un linguaggio artistico che rifugge le convenzioni del tempo in modo così incisivo da divenire universale.

Trascorse l’ultimo periodo della sua vita “lavorando come un giardiniere” nella sua villa/atelier a Maiorca, immerso in quell’atmosfera naturale di fanciullezza che mai abbandonerà la sua pittura.

Paesaggi, animali, elementi naturali sono la sua principale fonte di ispirazione. La sua pittura si perde nell’osservazione del cielo sfumata tra i sogni, che è la stessa dimensione in cui ci trasporta se ci abbandoniamo alle sue linee spontanee ed emotive.

 

Un importante esponente del Novecento che, con la sua poesia, restituisce una  visione del mondo personalissima.

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Idee sostanziali di Le Corbusier

Charles-Edouard Jeanneret, svizzero naturalizzato francese, deve il suo soprannome: Le Corbusier, al ritratto di un antenato belga appeso nella casa in cui ha trascorso l’infanzia. Il suo nome d’elezione, risuona tra le immagini di edifici e arredi, ma alla base della sua organizzazione, del tutto personale, degli spazi, c’è una sensibilità “altra”che affonda radici segrete nella pittura.

Archipittura e armonie di spazi

Ed è proprio attraverso questo lavoro intimo, coltivato con caparbietà da Le Corbusier, che giungerà alle sue intuizioni di stile in architettura.

L’essenzialità è una virtù che istiga alla stilizzazione, alla meccanizzazione, all’incastro, a quell’esattezza che prende le mosse da Léger.

Le forme pure si affrontano a duello, o, per meglio dire, si fissano immobili nell’istante prima che il duello abbia inizio. Sono presenze concrete, affermate sulla tela e successivamente nelle grandi opere dell’architettura moderna, su cui Le Corbusier apporrà la propria firma, proponendosi come uno dei geni della forma del XX secolo.

Il purismo

A partire dal 1917 Le Corbusier e Ozenfant, colui che lo aveva iniziato alla pittura, fondarono il movimento purista, un’arte chiara, che eredita dal cubismo il desiderio di liberarsi da modalità ormai  superate nella ricerca dei volumi.

Il purismo aderisce alla civiltà delle macchine, ed è influenzato dalla modernità nell’estetica. Il nuovo ideale plastico è la macchina, con cui l’arte deve essere in sintonia, per tenere il passo con i tempi. Le macchine si costruiscono sempre più secondo proporzioni, giochi di volumi e materiali, in modo tale che esse stesse siano delle vere e proprie opere d’arte.

L’abbandono del purismo avverrà con l’inserimento delle prime figure femminili, imponenti sculture nella tela, che apriranno la porta ad una fase più matura dell’opera pittorica di Le Corbusier.

In bilico tra futuro e sentimento

La vita è fatta di dinamismo e trasformazione. Le figure restano appese nella dimensione onirica, imprigionate in tratti accennati e montate in accostamenti meccanici.

La visione del mondo è intesa a tutto tondo, un teatro umano in cui è possibile osservare anche i trucchi scenografici e le macchine dietro alle quinte.

Le immagini risultano goffe, travolte da un’accelerazione, cui l’emotività non riesce a star dietro, quasi a fissare la mappa di un sogno ad occhi aperti, in cui ogni pensiero è sullo stesso piano. Come un ironico gioco al massacro, in cui le linee fluttuano liberamente.

 

 

Tutto sta insieme come in una costellazione moderna, in cui il peso e la fragilità delle forme si trasformano in una qualità della visione.

“Lo stile non è affatto un abbellimento come credono certe persone, non è neppure una questione di tecnica, è – come il colore per i pittori – una qualità della visione, la rivelazione dell’universo particolare che ciascuno di noi vede, e che gli altri non vedono.”

(Marcel Proust“Swann spiegato da Proust”)

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L’ironia visionaria del design italiano

“Il miglioramento della qualità della vita di chi verrà in contatto con le mie architetture è l’obiettivo di tutto il mio progettare”

dice Franco Audrito, architetto e designer fondatore insieme ad un gruppo di giovani designer torinesi, nel 1965, dello Studio65, un’attiva e autorevole presenza nel panorama dell’architettura internazionale.

Architetture che vogliono dialogare con gli elementi della natura, con il profumo delle nuvole, per lasciare su ciò che le circonda un’impronta leggera e armoniosa, ma profonda nell’anima del mondo.

In 50 anni di attività gli eroi di Studio65 conducono la rivoluzione ironica del pop-design, attraverso opere e vicende del radical design italiano che lascia il segno, e varca i confini nazionali.

Lo Studio65 ha portato al mondo del design una libertà e un’apertura che sino a quel momento erano prerogative esclusive del mondo dell’arte. Con audacia professionale, emotiva e creativa, questi designer hanno semplificato uno dei passaggi più impegnativi del mondo del design, che nel secondo dopoguerra si presentava rigido e rigoroso.

Uno humor stravagante e provvisorio, che consente a chi osserva di sentirsi a suo agio di fronte a creazioni grandiose.

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