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Il genio urbinate

“Dure fatiche, e voi, famosi affanni, risvegliate il pensier che in ozio giace, mostrateli quel sole che in alto fa salir da bassi ai più sublimi scanni.”

(V dei cinque sonetti, attribuiti a Raffaello Sanzio, ritrovati sul retro dei disegni preparatori per l’affresco”Disputa del sacramento”)

Vita da genio

Raffaello nasce nella piccola cittadina di Urbino il 24/03/1483 e morirà appena trentasette anni dopo.

Questo non gli impedirà dopo essere rimasto, molto piccolo, orfano di entrambi i genitori, di vedersi riconosciuta la qualifica di magister nelle prime commissioni, ricevute a soli 17 anni, a scapito di colleghi di bottega più maturi e d’esperienza, grazie alla grande dolcezza e al lirismo che le sue figure, sin dai suoi esordi, riescono a trasmettere.

Dopo il periodo formativo a palazzo della Signoria di Montefeltro, frequenta l’Umbria e Perugia, dove s’incontra e collabora con Bernardino Betto di Betti e Cristoforo Vannucci, al secolo, rispettivamente, il Pinturicchio e il Perugino, sino a giungere agli importanti incontri e incarichi fiorentini.

La muta

La sua concezione armonica dello spazio e della figura costituirà il fondamento del suo universo proporzionato e ordinato. Ma comunque pieno di senso.

I volti che ritrae sono belli e luminosi. In Ritratto di donna-La muta realizzato nel 1507, a ventiquattro anni, c’è già molto della sua poetica, dello studio molto approfondito dell’espressione che certamente segue all’osservazione dell’opera leonardesca.

Raffaello, in questo ritratto borghese, mostra di sapersi confrontare con una delle opere più inquietanti ed enigmatiche del primo rinascimento: la celeberrima Gioconda di Leonardo.

 

 

L’espressione malinconica della donna, insieme al fazzoletto che stringe nella mano sinistra, lasciano che chi la osserva sia raggiunto da una sensazione di dolore sottile, tagliente e profonda, quanto composta.

La monumentalità del sentimento e della figura emergonoo in maniera decisa dal fondo scuro, che abbandona i fantastici fondali rinascimentali, seguendo sapientemente l’esempio di Leonardo.

Gli affreschi per Papa Leone X

Nel 1509 Raffaello arriva a Roma, per realizzare parte della decorazione dei nuovi appartamenti papali.

Il Sanzio (cognome d’arte modificato, da lui stesso, dalla latinizzazione – Santius – del cognome di suo padre – Santi) era un narratore decisamente formidabile, e il suo repertorio figurativo diviene presto una miniera per l’istoriato nelle arti congeneri (cioè non pittura, ma oggetti) nelle incisioni su pietre dure e metalli, per realizzare gioielli e placchette, nelle stampe e nelle maioliche.

Nell’Incendio di Borgo, Raffaello rappresenta il tradizionale racconto del Liber Pontificalis, in cui, Leone VI avrebbe domato le fiamme dell’incendio nel quartiere romano di Borgo, nell’847, imponendo la sua benedizione con il segno della croce.

Enea con l’anziano padre Anchise sulle spalle e il piccolo Ascanio in basso a sinistra, la donna voltata di spalle con la brocca sul capo, la donna accanto a lei con le braccia levate al cielo, il bambino terrorizzato tra loro, che si porta la mano all’orecchio per difenderlo dalle urla, e il giovane nerboruto “appeso” alle mura, nel tentativo di sfuggire alle fiamme, possiedono un’espressività figurativa e un’armonia compositiva splendidamente evidenti.

Il “visibile” di Raffaello lo rende l’artista dalle grandi imprese, che si aggancia velocissimo a immagini ipernote, stampate sulle T-shirt e negli occhi di noi tutti. Ma quello che non è tangibile, eppure emerge, dalla sua opera; il calore e la luce, di cui ha irraggiato le arti e gli artisti del suo tempo, lo rendono una persona veramente straordinaria, un uomo venuto, forse per un breve viaggio sulla terra, direttamente dalle stelle.

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