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Léger, il fabbro della pittura

“Di questi tempi tutto ciò che vediamo attorno a noi è basato sull’esattezza”

Ferand Lèger nasce nel 1881 ad Argentan, cittadina di provincia della Normandia, da un allevatore di bestiame. La sfiducia della sua famiglia nelle risorse offerte dalla pittura è totale. Vorrebbero che il giovane andasse verso l’architettura, un vero mestiere, che effettivamente Fernand svolgerà a Parigi come disegnatore architettonico, e, da cui, probabilmente deriverà la sua esattezza in pittura.

Per Fernand arte significa soprattutto l’incalzare delle contraddizioni, la coesistenza del tratto geometrico, con la linea tutta sensibile, apprensiva, del colore trattato quasi come una macchia, come fattore di costruzione e, al tempo stesso, generatore di luce.

Léger debutta come impressionista, ma seguirà tale linea con sempre minore convinzione, sino ad abbandonarla completamente, quando si rende conto che la civiltà industriale necessitava di un altro tipo di linguaggio, basato su contrasti e dissonanze. Le sue linee sulla tela scatenano conflitti tra coni oscillanti, prismi, cilindri e forme geometriche, dominate dalla ragione.

“Occorre misurarsi con la finitezza della tecnica”

Ciò che l’evoluzione dei tempi esige, è inventare immagini di macchine, come i suoi contemporanei immaginavano paesaggi. Gli elementi meccanici sono un mezzo per esprimere una sensazione di forza, di potenza, la stessa destinata a meccanizzare e cambiare il mondo.

 Gli elementi della rappresentazione volteggiano, si spaccano, come mele mature che si liberano dalla buccia. Il cambiamento diviene un cambiamento di visione, il quadro diviene un luogo di scontro tra oggetti e forme, assistito da una lucidità e un rigore che Fernand Léger persegue da anti-espressionista dichiarato quale è.

Pioniere della pittura della città e dell’industria, era un pittore molto lento, legato ad lungo lavoro preparatorio, scevro da ogni improvvisazione. Crede in una sapiente interazione tra volumi, ampie, piatte e audaci superfici di colore che si esibiscono senza espedienti.

Elogio dell’Esattezza

“Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:

1 – un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;

2 – l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, “icastico”, dal greco “eikastikós”;

3- un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.”

Parola di Calvino. Nelle sue Lezioni Americane, questa definizione sembra un lavoro sartoriale dedicato alle fisionomie plastiche di Léger, come un’armatura da indossare per partire all’avventura nella loro comune battaglia, alla conquista di “un” equilibrio.

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“La geometria é la sintesi di tutto”

“La geometria, quando è certa, non dice nulla del mondo reale“

(Albert Einstein)

Ma a Paul Cézanne la superficie non interessa. La supera. Sceglie strutture stabili, con più dimensioni, potenti. Non importa che l’effetto sia grazioso, dipingere, secondo Paul, é”raggiungere armonia in numerosi rapporti”ma i suoi, sono piuttosto quelli di forza, tra spatola e corpo del colore. Meglio scolpire che sfumare. Gli autoritratti ce lo mostrano”bruttino”e in effetti é forse stato sempre scontento di sé; ha sofferto per le critiche impressioniste e si é isolato, sino alla sincope da polmonite (un temporale lo aveva sorpreso a dipingere en plein air…)

La montagna di Sainte Victoire non vibra come un’impressione, ma ha attorno un cielo spesso, su cui insistono altri volumi, e non c’é nulla che distolga dell’equilibrio.

Tutti i pezzi si potrebbero incastrare suonando così:

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